IL DISCORSO DI LUCIA DELLA TORRE
« Io accolgo te, e con la grazia di Cristo prometto di esserti fedele sempre, nella gioia e nel dolore, nella salute e nella malattia, e di amarti e onorarti tutti i giorni della mia vita ».
È una formula suggestiva e affascinante. Definitiva, in qualche modo, sicuramente solenne, che nel corso della presente celebrazione, per scelta, non verrà letta. Le sono stati preferiti degli articoli, un po’ nudi e crudi, che di solito vengono sempre citati a margine, in fondo, quasi di nascosto, di fretta, per sbrigarsi e poi andare a festeggiare, perché il diritto spaventa oppure, nel migliore dei casi, annoia.
E invece, non solo Alice e Diego hanno deciso di sposarsi per il semplice tramite, nudo e crudo, di questi articoli, ma hanno anche scelto di metterli al centro della cerimonia di oggi, chiedendomi di parlarvene per qualche minuto.
Comincio allora subito, partendo proprio dal testo :
Codice 1942
143 : Il matrimonio impone ai coniugi l’obbligo reciproco della coabitazione, della fedelta’ e dell’assistenza.
144 : Il marito e’ il capo della famiglia; la moglie segue la condizione civile di lui, ne assume il cognome ed e’ obbligata ad accompagnarlo dovunque egli crede opportuno di fissare la sua residenza.
145 Il marito ha il dovere di proteggere la moglie, di tenerla presso di se’ e di somministrarle tutto cio’ che e’ necessario ai bisogni della vita in proporzione delle sue sostanze.
147 Il matrimonio impone ad ambedue i coniugi l’obbligazione di mantenere, educare e istruire la prole. L’educazione e l’istruzione devono essere conformi ai principi della morale e al sentimento nazionale fascista.
151. La separazione puo’ essere chiesta per causa di adulterio, di volontario abbandono, eccessi, sevizie, minacce o ingiurie gravi. Non e’ ammessa l’azione di separazione per adulterio del marito, se non quando concorrono circostanze tali che il fatto costituisca un’ingiuria grave alla moglie.
Stupiti? Niente paura, questo è il codice civile del 1942.
Avevo pensato di risalire un poco più indietro, ma ho dovuto rinunciare perché sarebbe stato inutilmente ripetitivo. Non ci sono, infatti, grosse differenze tra questo testo e quello contenuto nel primo codice civile dell’Italia unificata, del 1865, con l’eccezione, forse tutto sommato positiva, che nel codice sabaudo almeno non si faceva ancora riferimento al sentimento nazionale fascista.
Poche altre cose sono, come il diritto, fatte dall’uomo e per l’uomo. E poche altre branche del diritto toccano l’uomo più nel vivo del diritto di famiglia, che arriva a lambire proprio la sfera che dell’uomo è la più personale e privata, dunque anche la più intima e la più fragile.
È proprio all’interno di questa sfera che oggi si vanno combattendo alcune delle battaglie, anche ideologiche, più aspre e più tese degli ultimi anni. Se non è questa ovviamente la sede per parlarne, è giusto però ricordarle in questa occasione, per sottolineare appunto come sia soltanto attraverso il riconoscimento giuridico che alcune realtà sociali possano sperare di affermarsi e di confermarsi all’interno della realtà quotidiana.
Questo è peraltro precisamente quello che accadde intorno alla metà degli anni ’70, quando soltanto la riforma del diritto di famiglia, che venne peraltro più volte rallentata e deviata lungo binari morti della procedura parlamentare riuscì a dare ragione e forma a quell’insieme tumultuoso e affascinante di fenomeni che avevano nel corso degli anni completamente stravolto la società italiana e i rapporti di forza all’interno di essa. Ci sarebbero tanti nodi da affontare, parlando del matrimonio civile, ma io vorrei concentrarmi soprattutto su quello relativo al nuovo rapporto tra i coniugi che in esso viene rappresentato e tutelato, perché mi sembra, tra tutti, quello che più da vicino riguarda due persone come Diego e Alice, che hanno fatto dell’uguaglianza e della parità tra loro il punto di forza e la chiave di volta della coppia.
Gli ultimi, convulsi passaggi di approvazione della riforma ebbero luogo in un paese in cui, fino a pochi anni prima, si diceva che « le donne di politica non ne capiscono, e perciò devono lasciar fare all’uomo ». Era un paese in cui, dopo il 1968, la presenza femminile nel mondo del lavoro era aumentata notevolmente, ma i salari delle donne erano più bassi di quelli maschili e le mansioni più basse erano ricoperte al 67 % dalle donne e solo al 23 % dagli uomini. Lo Statuto dei lavoratori, del 1973, vietava sì inguste discriminazioni sul lavoro, ma non teneva conto di quelle basate sul sesso. L’articolo 559 del codice penale, che puniva con la pena di un anno di reclusione l’adultera, era stato abrogato solo da qualche anno. Nel frattempo, però, era stata approvata la legge sul divorzio e le donne erano coinvolte assieme agli uomini in quasi tutte le lotte sociali. I parlamentari impegnati nella riforma cercarono di spiegare le ragioni della stessa, e gli obbiettivi che con essa venivano perseguiti precisamente dando voce a queste lotte e a queste rivendicazioni.
Secondo la relazione illustrativa di una delle proponenti, Maria Eletta Martini «Il codice considera ancora la donna come un essere intellettualmente e moralmente inferiore, incapace da sola di superare le difficoltà della vita, non dotata di quella piena maturità e coscienza che dovrebbe essere riconosciuta ad ogni essere pensante. L’articolo 145 del codice civile ottempera ad una visione gerarchica (il marito è il capo della famiglia) che consente qualsiasi potere di controllo e di correzione nei confronti della moglie. Esso è il fondamento di norme ispirate tutte alla convinzione delle minorate capacità intelletuali, morali e giuridiche della donna. L’articolo, stabilendo che il marito deve proteggere la moglie, la deve « tenere presso di sé » le deve « somministrare tutto ciò che è necessario alla vita » attribuisce al marito una anacronistica ed assurda posizione paternalistica. Una riforma di questo stato di cose è ormai improrogabile e imprescindibile.»
Nonostante quindi le posizioni di chi, nei dibattiti parlamentari, ancora sosteneva che : « la donna non possa inserirsi nel mondo del lavoro se non sia completa e compiuta nella sua categoria biologica » (sic) gli articoli relativi a matrimonio vengono radicalmente modificati.
Tramite il riconoscimento della « capacità lavorativa » di ciascun coniuge operata dall’articolo 143, ad esempio : « Il lavoro, anche casalingo, è indicato come uno degli elementi della produzione, valido anche dal punto di vista economico e elemento fondamentale nella vita della famiglia. Si da rilievo al fenomeno, oramai generalizzato, della donna che lavora e partecipa al mantenimento della famiglia. La legge pone l’accento sulla responsabilità attribuita alla donna e riconosciutale nella conduzione economica della vita famliare. La partià non è solo di diritti, ma anche di doveri ».
In forza del nuovo articolo 144 «I coniugi sono stimolati a decidere insieme : concordemente hanno dato vita alla famiglia, concordemente debbono dirigerla. L’accordo è una meta alla quale tutte le famiglie devono tendere in tutti i momenti della loro vita».
Infine, la grandissima novità rappresentata dall’articolo 147, che nell’ottica di una revisione di tutti i rapporti di forza esistenti all’interno della famiglia, rivaluta completamente la figura del minore, chiarendo che « i genitori devono tenere conto delle aspirazioni e delle inclinazioni dei figli ». L’interesse del minore prevale dunque su quello dei coniugi che, non ne possono limitare la libertà ideologica e religiosa. Ancora, nell’esercitare i propri doveri verso i figli ai genitori, è riconosciuta una potestà da esercitare di comune accordo; dunque, non più patria potestà, ma anche in questo caso, uguaglianza tra coniugi.
Il rigore, la passione e la rabbia di quei lunghissimi dibattiti parlamentari rimangono in un diligente resoconto stenografato, che può essere recuperato negli archivi parlamentari o in qualche biblioteca. Il frutto di quell’impegno, però, è negli articoli che tra poco verranno letti ad Alice e a Diego, che sono tanto più asciutti e scarni quanto più grande è stato lo sforzo di condensare al loro interno tutto il valore e l’importanza delle lotte, politiche e sociali, che ne hanno preparato la stesura.
E può essere bello ricordare che questi articoli, ancora prima che dagli anni ’70, arrivano direttamente dagli anni in cui, dopo la fine della seconda guerra mondiale, si ricostruiva l’Italia e si scriveva la Costituzione che, nei suoi articoli 29 e 30, parla sì di famiglia e di matrimonio, ma non nel modo coraggioso e forte già invece desiderato ed auspicato da molti uomini e da molte donne.
Termino, allora, con un pezzo del discorso che la parlamentare Maria Maddalena Rossi, tenne in seno all’assemblea costituente nel 1947 : mi sembra un bel modo per chiudere il cerchio della storia e per dare ancora un po’ più di lustro e un po’ più di orgoglio ai tre piccoli e umili articoli che presto verranno letti davanti a tutti noi, e che rappresentano il dono di tutte le generazioni passate alle generazioni future, alla nostra generazione, alla generazione di Diego e di Alice, per delle famiglie sempre più forti, sempre più unite e sempre più libere.
Maria Maddalena Rossi
(Partito Comunista)
18 aprile 1947
Riconoscere la parità tra donna e uomo là dove la maggioranza delle donne esplicano la loro missione fondamentale, nella famiglia, è giusto, onorevoli colleghi. È un riconoscimento ormai maturo nella coscienza del popolo italiano ma dalle discussioni che si sono svolte in quest’Assemblea, mi è rimasta l’impressione che esso trovi qualche difficoltà a maturare nella coscienza di parecchi onorevoli colleghi. È vero che l’attuale legislazione italiana contrasta con questo principio.
Abbiamo sperato allora che alcuni onorevoli colleghi proponessero : « cambiamo il codice civile », ma non lo hanno detto. Anzi, hanno detto che nessuno pensa di cambiare la legislazione civile. Ebbene, mi dispiace che questi colleghi non siano presenti questa sera, perché vorrei dire loro che c’è qualcuno che ha intenzione di cambiare il Codice civile in materia, e sono precisamente le donne italiane.
Noi non condividiamo i dubbi e le riserve avanzati da alcuni colleghi preoccupati di conservare nell’ambito della famiglia una gerarchia che la realtà politica e sociale ha già superato. Noi sosteniamo che diversità di compiti nell’ambito familiare non significa necessariamente disparità di compiti. Si è parlato di preminenza naturale dell’uomo sulla donna. Io vorrei dire che la preminenza giuridica dell’uomo sulla donna proviene da un’altra cosa: dalla sua preminenza economica, preminenza che il capo della famiglia ha quasi sempre avuto in passato, ma che oggi in moltissimi casi non ha più. L’assoluta preminenza economica dell’uomo nella famiglia va gradatamente diminuendo e tende a scomparire con lo sviluppo della società moderna, nella quale l’uomo e la donna sono entrambi fattori essenziali dell’economia nazionale.
In questo caso si tratta di affermare un principio giusto, e la Costituzione deve affermarlo. Riconoscere alla donna la parità morale e giuridica anche nell’ambito della famiglia, significa contribuire validamente allo sviluppo della persona umana, allo sviluppo della personalità femminile [… ] vorrei dire che l’affermare oggi questo principio nella Costituzione onorerà la nostra Assemblea, orgogliosa di essere investita di così grande responsabilità di fronte alla Nazione e di fronte a tutte le donne».
IL DISCORSO DI ALICE & DIEGO
DIEGO: Ecco, quando abbiamo iniziato a organizzare questa festa – con giusto un po’ di anticipo! – e a pianificare la cerimonia, ci siamo resi conto che ai matrimoni, di solito, ci sono un sacco di persone che parlano, ma gli sposi stanno zitti, eccetto che per le promesse nuziali. Dunque ci è parsa una buona idea dire qualcosa anche noi – dopotutto, siamo noi che ci sposiamo! Bene, arrivati a questo punto, l’idea non sembra più tanto buona – ma siamo in ballo e ci tocca.
ALICE: Prima di tutto: grazie. Per essere qui oggi, ma soprattutto per essere stati con noi, durante questi mesi di preparativi, e prima ancora per essere con noi sempre, tutti i giorni o anche solo ogni tanto. Grazie a chi è venuto da lontano, a chi purtroppo non vediamo abbastanza spesso, a chi non è potuto venire oggi. A chi non c’è più.
DIEGO: Si dice che il matrimonio sia un fatto privato, l’amore tra due persone e loro due soltanto. Noi ci amiamo, e dal momento in cui le nostre vite si sono sovrapposte sono diventate una sola esistenza: non riusciamo a immaginarci l’uno senza l’altra, le nostre lacrime sono le stesse, e così i nostri sorrisi, le nostre risate, l’aspirazione alla felicità e alla condivisione totale.
ALICE: Quando ci siamo innamorati, Diego diceva che saremmo dovuti stare insieme sempre, e io pensavo che intendesse dire “per sempre”. Invece intendeva proprio sempre: quando stiamo bene, quando ci divertiamo, quando abbiamo la febbre, quando dobbiamo lavorare fino a tardi, quando non siamo nello stesso posto, quando facciamo le stesse cose. Sempre. In questo senso, siamo marito e moglie da molto tempo.
DIEGO: Ma il matrimonio è anche un fatto pubblico. Il nostro amore è – noi vogliamo che sia – una festa collettiva, perché per noi la cosa più importante sono gli altri, ogni relazione che intrecciamo è parte fondamentale della rete che ci tiene insieme, senza la quale, nonostante il nostro sconfinato amore, saremmo poveri, e perduti.
ALICE: Non abbiamo molte certezze, noi. Vogliamo realizzarci e seguire i nostri sogni, ma il lavoro non ci garantisce alcuna serenità. Non ci interessa mettere radici in un posto, costruire una casa fisica, e non sentiamo di appartenere completamente ad alcun luogo. La nostra casa siamo noi, e apparteniamo l’uno all’altro. Ci sono stati e ci sono ancora momenti in cui ogni solidità, ogni sicurezza ci sembra preclusa, il futuro ci spaventa e sembra minacciarci con la sua precarietà costante. E con un gesto quasi di sfida, alla faccia di un presente che sembra sempre soffiare contro la felicità di chicchessia, noi ci sposiamo anche un po’ come un atto di resistenza.
DIEGO: Scegliamo di diventare una famiglia, di custodire e coltivare il nostro amore sempre e per sempre, di essere testardamente felici, di resistere insieme a tutto quello che verrà. Abbiamo sempre sognato di vivere avventure mirabolanti e favolose: questo non è che l’inizio.
Di tutti i poeti e i pazzi
che abbiamo incontrato per strada
ho tenuto una faccia o un nome
una lacrima o qualche risata
abbiamo bevuto a Galway
fatto tardi nei bar di Lisbona
riscoperto le storie d’Italia
sulle note di qualche canzone.
Abbiamo girato insieme
e ascoltato le voci dei matti
incontrato la gente più strana
e imbarcato compagni di viaggio
qualcuno è rimasto
qualcuno è andato e non s’è più sentito
un giorno anche tu hai deciso
un abbraccio e poi sei partito.
Buon viaggio hermano querido
e buon cammino ovunque tu vada
forse un giorno potremo incontrarci
di nuovo lungo la strada.
Di tutti i paesi e le piazze
dove abbiamo fermato il furgone
abbiamo perso un minuto ad ascoltare
un partigiano o qualche ubriacone
le strane storie dei vecchi al bar
e dei bambini col tè del deserto
sono state lezioni di vita
che ho imparato e ancora conservo.
Buon viaggio…
Non sto piangendo sui tempi andati
o sul passato e le solite storie
perché è stupido fare casino
su un ricordo o su qualche canzone
non voltarti ti prego
nessun rimpianto per quello che è stato
che le stelle ti guidino sempre
e la strada ti porti lontano
Buon viaggio…
Ti amo quando hai freddo e fuori ci sono 30 gradi. Ti amo quando ci metti un’ora a ordinare un sandwich. Amo la ruga che ti viene qui quando mi guardi come se fossi pazzo. Mi piace che dopo una giornata passata con te sento ancora il tuo profumo sui miei golf, e sono felice che tu sia l’ultima persona con cui chiacchiero prima di addormentarmi la sera. E non è perché mi sento solo, e non è perché è la notte di capodanno. Sono venuto stasera perché quando ti accorgi che vuoi passare il resto della vita con qualcuno, vuoi che il resto della vita cominci il più presto possibile.
When Harry Met Sally… [Rob Reiner, 1989]
E io pensai a… quella vecchia barzelletta, sapete… Quella dove uno va dallo psichiatra e dice: “Dottore mio fratello è pazzo, crede di essere una gallina”, e il dottore gli dice: “perché non lo interna?”, e quello risponde: “e poi a me le uova chi me le fa?”. Be’, credo che corrisponda molto a quello che penso io dei rapporti uomo-donna. E cioè che sono assolutamente irrazionali, ehm… e pazzi. E assurdi, e… Ma credo che continuino perché la maggior parte di noi ha bisogno di uova.
Annie Hall [Woody Allen, 1977]
Io credo che se esiste un qualsiasi Dio, non sarebbe in nessuno di noi, né in te, né in me, ma solo in questo piccolo spazio nel mezzo. Se c’è una qualsiasi magia in questo mondo, dev’essere nel tentativo di capire qualcuno condividendo qualcosa. Lo so, è quasi impossibile riuscirci, ma… che importa, in fondo? La risposta dev’essere nel tentativo.
Before Sunrise [Richard Linklater, 1995]
At last
My love has come along
My lonely days are over
And life is like a song
Oh yeah yeah
At last
The skies above are blue
My heart was wrapped up in clover
The night I looked at you
I found a dream, that I could speak to
A dream that I can call my own
I found a thrill to press my cheek to
A thrill that I have never known
Oh yeah yeah
You smiled, you smiled
Oh and then the spell was cast
And here we are in heaven
for you are mine…
At last!
At Last – Etta James
[Grazie per le foto a Marco, Dunia, Filippo e Michele]
Ascolto “La Strada” e immagino l’atmosfera del Vostro giorno..
peccato non essere riuscita ad esserci..
pero’ osservandovi e’ come vivere il Vostro Sogno..
Pura Meraviglia.
Un abbraccio
Sandri